ARTE, CINEMA E MUSICA SARANNO I CRONISTI PER COMPRENDERE LE RAGIONI
DELLA NASCITA DEL “MITO WOODSTOCK”

“Woodstock: freedom” è una mostra trasversale strutturata con l’obiettivo di coinvolgere a livello emozionale il pubblico attraverso filmati, fotografie, citazioni, lettori mp3, vinili, opere d’arte e molto altro ancora per immeggerci negli avvenimenti degli anni sessanta. Dalle contestazioni studentesche alle rivoluzioni del costume attraverso la Guerra del Vietnam, l’esposizione si propone di far comprendere le ragioni di un Festival entrato nell’immaginario collettivo come il più grande festival della storia. Sono passati cinquant’anni dal quel 15 agosto del 1969 e Asolo lo celebrererà con una mostra sociologica per far rivivere, per un attimo, le emozioni del miglior rock di sempre.

Woodstock é stato, fin da subito, un affare di soldi. Gli organizzatori dal capitale illimitato Michael Lang, John P. Roberts, Joel Rosenman e Artie Kornfeld scrissero a chiare lettere sul New York Times di essere in cerca di “interessanti opportunità di investimento e business”. Scelsero quindi i maggiori artisti della loro epoca (invitando anche Beatles, Rolling Stones, Bob Dylan, The Doors e Led Zeppelin, che rifiutarono) per presentare un cartellone in grado di attirare la folla dei grandi raduni internazionali: Jimi Hendrix, Janis Joplin, Joe Cocker, The Who, Creedence Clearwater Revival, Carlos Santana e molti altri ancora.

Woodstock altro non era che un’iniziativa commerciale: la “Woodstock Ventures”. È impossibile, quindi, capire le ragioni della nascita del mito Woodstock senza rivivere le rivoluzioni che sconvolsero la società degli anni sessanta. A essere messo in crisi fu, in primo luogo, il modello della famiglia borghese diffusosi negli anni cinquanta. Il sistema di valori dei padri venne rifiutato dai figli e il conflitto tra le generazioni esplose. La rivolta giovanile promosse un nuovo stile di vita attraverso non solo l’attivismo politico, ma anche mediante un cambiamento radicale nell’abbigliamento, nei comportamenti sessuali, nel modo di concepire la libertà personale e l’uguaglianza tra le persone. I giovani furono i protagonisti di una trasformazione generazionale che inneggiò all’amore libero, alla pace e alla fratellanza attraverso le note di Bob Dylan, i film con Marlon Brando e la letteratura beat degli anni cinquanta con opere simbolo come “Howl” di Allen Ginsberg e “On the road” di Jack Kerouac. Registi, cantanti, scrittori e pittori ispirarono, e raccontarono, il clima di un’epoca che ebbe come fuoco d’artificio finale la tre giorni di peace&music. A creare il mito furono infatti proprio loro, quei 500.000 ragazzi stesi sull’erba e nel fango cullati dalle schitarrate di band che fecero grande la storia del rock. Ci si dimenticò della guerra, delle contestazioni e delle rivolte studentesche chiudendo la porta per immergersi finalmente nell’utopia di una società senza più catene. Arte, cinema e musica saranno i cronisti della storia degli anni sessanta in una mostra emozionale e multimediale che celebra e onora il mito del festival di Woodstock, rappresentato dall’urlo generazionale di Richard P. Havens: FREEDOM!

Quattro le sezioni della mostra, tra le quali la sala dedicata all’esplosione della Pop Art alla Biennale di Venezia del 1964 con le opere di Warhol, Lichtenstein, Indiana, Rauschenberg, Dine, Schifano, Festa, Angeli, Mambor, ecc, che condurranno alla sala immersiva con erba, cuscini e maxi schermo per rivivere le esibizioni live accompagnate da un ricco apparato didattico e dai dischi originali degli artisti che vi parteciparono, tra cui “Electric Ladyland” di Jimi Hendrix con la storica copertina censurata.