LA MOSTRA

Con il Patrocinio di Regione Veneto e Ministero per i beni e le attività culturali

L’esposizione, allestita presso le logge al piano terra della Basilica Palladiana di Vicenza, propone quaranta opere che raffigurano i celebri violini e strumenti musicali, distrutti, ricomposti, e successivamente colorati con violenti colpi di colore che ricordano alcuni movimenti del judo. Arman, al secolo Armand Fernandez, nasce a Nizza nel 1928. È tra i primi firmatari (insieme a Klein, Hains, Raysse, Tinguely, Villeglé, Dufrêne) ed esponente di rilievo del Nouveau Réalisme, il movimento nato attorno al critico Pierre Restany che, nell’aprile del 1960, ne stilò il manifesto. Il Nouveau Réalisme deriva, pur prendendone le distanze, dalle avanguardie dadaiste di inizio secolo, delle quali riprende l’atteggiamento dissacrante nei confronti dell’arte tradizionale. Nella seconda metà del XX secolo le arti visive si interrogano sulla civiltà dei consumi, sull’oggetto-prodotto, la destinazione d’uso e l’obsolescenza delle merci. Gli artisti si trovano a riflettere sulla derealizzazione della “cosa”, che diventa spazzatura, intendendo riqualificarla in quanto cimelio. In questa prospettiva storica si inserisce la ricerca di Arman, che riaccende e accentua un interesse sulle cose. Nouveau Réalisme per Arman significa assemblare oggetti che la società reputa marginali e insignificanti, puntando l’attenzione su ciò che non si nota ed esaltando così il valore di ciò che si utilizza quotidianamente: come uno strumento musicale che emette melodie e crea emozioni, ma che nella poetica di Arman viene spaccato, sezionato e non trasmette suoni. Dopo un primo esperimento nella pittura tradizionale, Arman abbandona, a partire dal 1952, l’utilizzo del “cavalletto”, per una nuova ricerca d’espressione. Comincia con “timbri” su carta moltiplicati ossessivamente (cachets), passando successivamente alle tracce e alle impronte (allures). È tra il 1960 e il 1962 che si compie il suo destino, pervenendo ad uno stile nuovo e potente; l’artista focalizza lo sguardo sulla natura moderna, industriale e urbana, appropriandosi degli oggetti della strada: li spezza, li assembla, li comprime e li colpisce di vampe di colore, arricchendoli di drammaticità. L’opera di Arman non può avere confini limitati, non è pura pittura, non è pura scultura. Infatti anche nelle sue opere frontali – definite “superfici”, perché come egli stesso sostiene «anche nelle mie composizioni volumetriche la mia volontà è sempre pittorica più che scultorea» – la sua nozione del volume è lontana da quella degli scultori puri. Dopo una vita da artista con più di seicento mostre personali, Arman muore a New York il 22 ottobre 2005.

 

Foto della manifestazione