Ironia, polemica sociale, intimità violate, sopraffazioni e violenze sono i capisaldi della ricerca di Daniele Nalin, veronese classe 1947. Un mondo fantastico, ma traumaticamente presente, ricco di allegorie e di riferimenti al mondo della fiaba che, di rimando, si trasformano in linguaggio etico di profonda istanza realista e sociale. La forza che l’opera di Nalin ci trasmette passa attraverso fondamentali esposizioni e partecipazioni alle più importanti rassegne artistiche internazionali, da Art Basel alla mostra personale a Palazzo Forti di Verona fino alle mostre a Stoccolma, Monaco di Baviera, Miami e molte altre ancora. Come ebbe a dire Alessandro S. Carone nell’opera di Nalin ci troviamo a “confronto con la testimonianza del senso dell’essere e del niente” in cui vita, morte, amore, odio, terra e cielo si confrontano, con inaudita forza, alla perdita del loro significato archetipo per tramutarsi in esordio di sintetico programma concettuale. Tutti gli elementi concorrono a tessere un racconto per immagini a cui siamo chiamati a dare un senso. Un’interpretazione soggettiva che può essere, per certi versi, paragonabile ai Rebus di Mambor: siamo noi gli attori che, attraverso le allegorie, diventiamo compartecipi dell’atto creativo portando a compimento l’operazione artistica per dare senso a ciò che appare. Ricordando il testo che Gillo Dorfles dedicò a Nalin nel 1991, questa simbologia si innesta in un tessuto di rievocazioni di antica memoria dove l’arte era chiamata a schierarsi e prendere posizione per portare il suo messaggio a tutti noi. Per molti anni il compito dell’artista è stato dimenticato e proprio Nalin, oggi, con le sue tele ricche di personaggi fantastici, ha il “coraggio di gettare dietro le spalle ogni ricordo accademico, lasciandosi guidare soltanto dall’estro d’una fantasia sbrigliata”. Figure a volte appena accennate, quasi fossero una tenera brezza mattutina che penetra con decisione nel nostro corpo. Altre volte queste figure si fanno concrete e tangibili trasformandosi in pittura plastica dove il corpo del colore è determinante veicolo per l’interpretazione del soggetto. Le opere di Nalin vanno vissute come dialogo continuo con l’umanità intera, con i suoi crimini, le sue contraddizioni, le sue ideologie che possono portare a catastrofi generazionali. Una pittura di coscienza collettiva nata dalla visione di una casa profanata dallo scoppio di una bomba in Iraq: osservando gli elicotteri di Nalin ancora sentiamo nelle orecchie la Cavalcata delle Valchirie in Apocalipse Now. Guernica di Picasso ne è stato l’esempio più lampante: un libro, più che un quadro, che ci mette di fronte alla crudeltà umana stesa pittoricamente in una tela monumentale…otto metri di morte! Operazione molto affine è quella di Daniele Nalin cinquant’anni dopo attraverso la leggerezza del gioco, l’ironia dell’effimero, il gioco del bambino che vanno vissute attraverso gli occhi ma che devono essere assaporate, masticate e, infine, digerite per averne completa percezione. È un messaggio segnico inciso sulla pelle di una tela che ricorda i graffiti dell’uomo primitivo in umide e fredde caverne portando a noi il racconto dell’esistenza..