Nato a Bergamo nel 1977 e vincitore di due premi speciali al IV Arte Laguna Prize, Guido Airoldi è abile tessitore di una pittura ricamata sulla riappropriazione di materiali ormai in disuso propri del paesaggio urbano contemporaneo. Già protagonista nelle affascinanti opere di Hains, Rotella, Tinguely e Villeglé, il celebre manifesto stradale strappato dai “ladri nella notte”, come ebbe a definirsi Mimmo Rotella, assume nell’opera di Airoldi uno spessore e uno stato esistenziale straniante permeato in tutti i suoi cicli: Animali recuperati, Vanitas, Danze macabre, Heimat, ecc. Se per gli artisti del Nouveau Réalisme il manifesto era pretesto per riappropriarsi del tessuto urbano decontestualizzandolo per donargli nuova vita e nuova identità attraverso la poetica visiva loro contemporanea, diverso, e iconograficamente inverso, è il fine dell’artista bergamasco. Attraverso sovrapposizioni, lacerazioni, intrecci, curvature e deformazioni la carta si trova ad essere supporto e non iconografia, pretesto e non soluzione, il mezzo e non il fine per ospitare una creazione ricamata su sagome ad alto spessore plastico. Airoldi non decontestualizza nulla, ma prima ruba e poi svolge la sua ricerca per creare una nuova identità a questo materiale povero. Lo mette in conturbante dialogo con la tempera all’uovo, una tecnica antichissima ora steso su un materiale del nostro contemporaneo. Passato e presente convivono anche con un’antica tradizione iconografica quale è la Vanitas i cui rimandi possono essere, restando relativamente vicini a noi, da Caravaggio a Andy Warhol, da Damien Hirst a Guido Airoldi. Ma in questi cicli Airoldi fa un ulteriore balzo in avanti, come egli stesso ricorda: “le carte da manifesto che uso nelle Vanitas e nelle Danze Macabre sono dipinte dalla natura: muffe, bozzoli di falena, peli di pennelli, appunti degli addetti alle affissioni, film del muro rimasti sulla carta strappata”. Terra di nessuno, la carta ora si presta ad ospitare il mondo stesso pronto a concorrere alla creazione artistica che nasce da una lavorazione chirurgica del supporto mediante taglierini, squadre, pinzette, colle, solventi, garze, ecc. Solo in un secondo momento il chirurgo si trasforma in pittore selezionando attentamente i ritagli di manifesto conservati da anni e usandoli al posto dei pigmenti: è la carta stessa a trasformarsi in colore e non più in superficie, permettendo ad Airoldi non di dipingere il mondo, ma con il mondo. Nell’opera di Airoldi sembra di assistere ad una incessante trasformazione alchemica di ciò che è ormai perduto, di un mondo degli inutilizzati che, proprio grazie alla riappropriazione del tessuto urbano, trovano una nuova dimensione d’essere.