Fatto costruire nel 1557 da fabbriche preesistenti, dal Conte Giovanni Daniele Pisani, passò in eredità al Conte Francesco De Lazzara. L’aspetto severo del portale e l’uso del bugnato hanno fatto attribuire tradizionalmente l’opera all’ambito architetto Michele Sammicheli o, secondo il Dalla Pozza, ad Andrea Palladio, allora impegnato nella fabbrica di villa Pisani a Bagnolo nonostante le valutazioni stilistiche non convalidano nessuna delle ipotesi menzionate. L’edificio si compone di due parti: una centrale e due ali laterali edificate successivamente, nel ‘700. Il corpo abitativo è sviluppato su quattro piani, di cui due nobili, aspetto raro per l’architettura del tempo, e racchiuso dal bignato rustico che ne sottolinea gli spigoli. Il palazzo domina piazza Garibaldi, che è sempre stata il cuore della città dal momento in cui sorse il borgo di Lonigo. Nella partita d’estimo, intestata a Vettor Pisani e fratelli dal 1564, tra i vari possedimenti nel territorio venne registrato anche “un palazzo a Lonigo”. Erano questi gli anni in cui i Pisani s’impegnavano in fabbriche imponenti per ospitare degnamente le famiglie dei tre fratelli. Il Comune accettò di buon grado i progetti, perchè il palazzo dava lustro alla piazza ed arricchiva due visuali ben diverse: dalla strada di Bagnolo e dal fondo della piazza. Finchè Palazzo Pisani appartenne ai conti De Lazzara Pisani, le adiacenze costituivano quasi una fortezza, circondata da mura: quando divenne residenza comunale, fu messo in opera un piano di recupero degli orti e dei cortili che vennero destinati ad area pubblica. Verso la piazza, a sinistra dell’arco, si vede un bellissimo pozzo coevo alla costruzione del palazzo, la cui vera, opera probabile della bottega dei Pedemuro, è ricavata da un monolito. Molto interessate il portale costituito da bugne che guarda la strada in direzione di Bagnolo, i due comignoli, la gradinata, gli stemmi, e la statua della Madonna, che sovrasta il fornice d’ingresso alla città, scolpita nel 1628 per scongiurare il pericolo, allora prossimo, della pestilenza del 1630. All’interno è ammirevole il salone d’onore, con soffitto alla sansovina, sicuramente affrescato già nel Cinquecento.